A cinquant’anni da Piazza Fontana: Nero Ananas, Valerio Aiolli (Voland)

C’è voluto molto tempo per trovare le parole adatte a parlare di questo libro. Sicuramente più tempo di quanto abbia impiegato per leggerlo, la scorsa estate. Arrivato nella dozzina dello Strega, questo non è certo l’esordio letterario di Valerio Aiolli, che negli ultimi 25 anni ha messo in fila un bel numero di pubblicazioni, ma è, per sua stessa ammissione, l’opera che ha impiegato di più ad arrivare a compimento.

Nero Ananas affonda le mani negli anni di piombo, punta verso il momento in cui tutto è precipitato verso il buio: prima c’era un’Italia che si godeva la ripresa economica e sociale dopo i conflitti mondiali, dopo c’era la paura di frequentare un luogo affollato o di prendere un treno. Questo moto, nel testo, è centrifugo e centripeto allo stesso tempo: seguiamo le vicende dei vari personaggi a mano a mano che le loro vicende si dipanano, prima e dopo l’attentato del 12 dicembre 1969. Ci sono gli estremisti, un anarchico, un politico, i servizi segreti… e un ragazzino. Pare l’inizio di una barzelletta, ma è Storia, è cronaca, addirittura l’incipit di una storia di mistero: quello che avvolge la sorella del ragazzino, sparita e poi tornata, e poi sparita di nuovo, quello che avvolge il processo, i responsabili, i mandanti della strage.

 

Mentre leggevo questo libro ho rimpianto di non avere dato qualche esame di storia contemporanea, pur col dubbio che queste vicende possano davvero essere approfondite in ambito accademico, di non aver letto di più, di non aver chiesto a chi queste cose le ha viste al TG proprio in quei giorni. Ho sentito un po’ d’invidia per quel ragazzino che in quella prima lunga estate senza la sorella si è messo a divorare i quotidiani, che vedeva le cose succedere giorno dopo giorno, e pur capendole con fatica le metteva in fila. Ci si è anche trovato in mezzo, il ragazzino: ha scorrazzato dentro i Moti di Reggio, ha schivato per un pelo la strage di Gioia Tauro, ha vissuto, insieme alla sua famiglia, un prima e un dopo, come tutta l’Italia.

Ogni personaggio del romanzo è una pedina in una partita giocata con la Storia, ma certo quello che tiene insieme tutto è il ragazzino: fuori dai giochi politici, lontano dalla violenza e dalla corruzione, è l’unico che vive nella luce, pur attraversando l’inferno della famiglia che si sgretola insieme a tutte le sue sicurezze. È un personaggio che si fa fatica ad abbandonare, lo si vorrebbe veder crescere. E invece lo si deve lasciar andare, alla soglia dell’adolescenza, perché il romanzo si conclude nel 1973.

La vicenda di Piazza Fontana, invece, a mezzo secolo di distanza è ancora una ferita aperta: come gli eventi rimossi nella vita personale di ognuno arrivano prima o poi a chiedere il conto in termini di funzionalità del quotidiano, non è possibile non legare questi avvenimenti alle conseguenze sui cinquant’anni che sono passati senza chiarezza. Da cittadini, quello che possiamo fare noi è non perdere la memoria. Chi non ha una memoria di prima mano, come chi, come me, è nato vent’anni dopo, può cercare un approfondimento nei film e nei libri. Io credo che proseguirò il mio cammino passando dalla fiction alla saggistica con Benedetta Tobagi. Se tu questo cammino devi ancora iniziarlo, parti da Aiolli: il suo è un passo che non ti lascerà indietro, e ti farà recuperare un tassello amaro, ma indispensabile, della storia della nostra Italia.

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