L’addio a Ursula K. Le Guin da parte di qualcuno che la amava molto

Lunedì scorso, il 22 gennaio, si è diffusa la notizia della morte di Ursula K. Le Guin, 88 anni, una delle grandi signore della letteratura fantasy e fantascientifica, forse la più grande, sicuramente quella dalla carriera più longeva. Fu tra gli autori che, negli anni Sessanta del Novecento, si staccarono dal dogmatismo che imperava nel genere sci-fi e provocarono l’onda di piena della New Wave, introducendo tematiche allora tabù come il sesso, le droghe in grado di alterare la percezione, l’ateismo, i movimenti antimperialisti, anti militaristi e pacifisti nonché le tematiche ecologiste, rispecchiando la controcultura dell’epoca.

Da allora la scrittura per lei ha rappresentato il pretesto per indagare le possibilità del reale, la libertà e l’idea di umanità in generale, e i suoi testi hanno negli anni chi non è un fan del genere, per la varietà di spunti e insegnamenti che se ne poteva trarre. Tra i numerosi premi che ha ricevuto si annoverano diversi Nebula e Hugo; nel 2014, ritirando il National Book Award, lo accettò anche a nome di tutti i colleghi «che erano stati esclusi così a lungo dal mondo della letteratura».

Con Le Guin se ne va un punto di riferimento per molti di noi che credono che la resistenza e il cambiamento possano iniziare dall’arte, in particolare dalla scrittura, ma i semi che ha piantato sono tanti, importanti e rigogliosi. 

ursula k. le guin
Fonte: www.newyorker.com

Il mio amore per quest’autrice mi è stato trasmesso da un’alunna, Lisa, qualche anno fa. La luce che aveva negli occhi quando me ne parlò fu tale che appena arrivata a casa, quella sera, scaricai su Kindle uno dei titoli che aveva menzionato.

Il lavoro di ricerca che mi ha tenuta occupata negli ultimi due mesi vede come uno dei punti focali la capacità, per la fantascienza, di trattare temi come il cambiamento climatico con strumenti diversi rispetto a quelli della letteratura maistream. Uno dei puntini che ho dovuto unire per arrivare a completare il quadro del mio lavoro era rappresentato proprio da Le Guin. Un altro era adrienne maree brown, facilitatrice di giustizia sociale con un odio per le lettere maiuscole che va a braccetto per l’amore smisurato per quest’autrice. Nel suo lavoro, brown fa largo uso degli strumenti che la fantascienza usa per immaginare alternative alle realtà delle comunità con cui collabora, e si è sempre detta debitrice nei confronti di Octavia E. Butler e Ursula K. Le Guin.

Mercoledì, brown ha pubblicato sul suo sito una lettera dove manifesta la sua tenerezza per quest’autrice in un modo così immediato che ho pensato di riportarne qualche frase. Abbiate pazienza, è molto tempo che non traduco e l’emozione è tanta, per tanti motivi. Ho lasciato che vibrasse, nella speranza che raggiungesse anche voi:

 

L’ultima lettera a Ursula K. Le Guin (spedita il giorno dopo la tua partenza) 

(…)
amb: In che modo l’immaginazione aiuta la sopravvivenza della nostra specie?
UKLG: È per mezzo della nostra immaginazione che riflettiamo in modo intelligente su ciò che abbiamo fatto, stiamo facendo e dovremmo fare
(…)

Cara Ursula,
grande maestra, grande spirito. È da quando ho saputo che non ci sei più che piango, e che mi sento molto viva. Mi è capitato di vivere nello stesso periodo in cui hai vissuto tu, e ho l’onore di piangerti. Alcuni dei pensieri e delle idee che hai scritto sono diventati convinzioni per tutta la mia vita ,segnando tappe del viaggio verso la mia liberazione. Alcune delle tue domande hanno cambiato il modo in cui penso. Molti di noi non hanno avuto nonni che ci accettano per come siamo; per me tu eri uno degli adulti che varcavano quelle voragini, che componevano l’immagine dell’adulta che sarei voluta diventare. Mi hai fatto sapere che potrei essere nell’universo sbagliato, ma che non sono sbagliata, non sono impossibile.
(…)
Le parole che hai scritto hanno contribuito alla mia fiducia nel fatto che l’uomo bianco possa immaginare qualcosa che va al di là della propria supremazia (…) Anche quando non ti cercavo, tu c’eri
(…)
Quando avevo bisogno di schierarmi, sola nella mia dignità, mi hai raccontato di coloro che si allontanano da un’utopia basata sulla sofferenza di qualcun altro.
Quando ho perso fiducia in questo mondo mi hai offerto una pletora di universi fatti e finiti da cui imparare, e mi hai dato perfino delle alternative per muoversi tra universi, allo stesso tempo distanti e paralleli.
Quando alcuni aspetti dell’umanità andavano oltre la mia comprensione o compassione, ho trovato libri che avevi scritto vent’anni prima, che non solo mi hanno aperto il cuore, ma hanno anche generato il desiderio per quella specifica diversità.
Quando mi chiedevo se l’immaginazione fosse necessaria alla rivoluzione e alla trasformazione, tu hai detto sì, che i nostri sogni e le nostre visioni contano, che sono il modo in cui rendiamo temporanea l’oppressione.
Ottantotto anni. Ne avrei voluti di più. Tu sei quel genere di persona.
Anche se, mentre sono qui a piangerti, mi guidi. mi ricordi che non sei assente, ma completa.
“Il vero viaggio è quello di ritorno”.
Con amore,
amb.

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