Roberto Riccardi e “La notte della rabbia” concludono il ciclo “Sere Nere”

Lo scorso 24 marzo si è concluso il ciclo di incontri “Sere Nere” a Castagneto Carducci; l’ultimo appuntamento è con Roberto Riccardi, autore di La notte della rabbia.

Lo scrittore arriva prima del pubblico che oggi, complice un soleggiato pomeriggio, lascia libere alcune delle ventisette sedie del foyer (ma non mi sfugge che l’età media è inferiore rispetto agli incontri precedenti, anche se il rapporto maschi/femmine rimane invariato).

Gli usuali divanetti rossi accolgono Riccardi e i giornalisti Cosci e Boetti.

La notizia scoop è data proprio da questi ultimi che annunciano la prossima promozione di Riccardi a generale. Il futuro generale si schermisce. Ha le gambe accavallate, è appoggiato allo schienale e non contrae nessun muscolo eccetto un continuo tormentarsi le mani; le pupille sono in costante movimento come se dovessero tenere tutto sotto controllo.

Cosci pone l’attenzione sul libro con la presentazione del protagonista, Leone Ascoli, e della vicenda ambientata negli anni Settanta in cui si parla del sequestro di un politico e del collegamento che può essere fatto con la vicenda dell’onorevole Moro. Alla domanda su come si organizzi per scrivere un romanzo, Riccardi risponde che prima di iniziare crea due file: in uno dettaglia tutta la trama e in un altro tutti i caratteri dei personaggi, anche quelli che occupano solo due pagine. I personaggi nascono dalla fantasia dello scrittore ma è lo scrittore che si deve identificare con loro e non viceversa. Ho fatto un rapido calcolo e ho contato almeno una cinquantina di personaggi nel romanzo e ho valutato quanto lavoro deve esserci stato a monte dello scrivere. La loro caratterizzazione spesso è in una frase, ad esempio del Soffia dice: Si chiese come sarebbe stata la sua vita, se avesse avuto per padre uno di loro.

La conversazione scivola su questa capacità di immedesimarsi negli altri del carabiniere Riccardi. Afferma di non essere migliore dei colpevoli che arresta, è solo più fortunato perché è nato dalla parte giusta, e lo dimostra ricordando degli episodi di quando prestava servizio in Sicilia. Quando narra è come entrare dentro un racconto. Circa venti persone si ritrovano così intorno al cadavere di un siciliano morto ammazzato, davanti alla vedova che lo veglia in attesa dell’arrivo del figlio di otto anni. Quando il bambino arriva, la madre lo getta su quel corpo, lo sporca con quel sangue e pronuncia queste parole: “ Quando diventerai grande, toccherà a te vendicarlo”.
Gli occhi mobili di Riccardi si spostano su quei venti volti che lo osservano e lui pone la domanda: “Non credete che questo avrà influenzato il futuro di quel bambino?”

Dai colpevoli di un reato che attirano l’attenzione passa a parlare delle vittime, l’argomento di un saggio scritto con altri sette autori: le storie di trentasei carabinieri uccisi. Spiega che è solo da poco tempo che si studiano le vittime, le quali subiscono due tipi di danno. Uno è la ferita fisica (per esempio una pallottola in una gamba e si rimane zoppi per sempre) l’altro è l’oblio. Veniamo così trasportati tra le nevi del Trentino dove un Carabiniere originario di Noto arriva nella caserma dove è stato destinato. Lo vediamo innamorarsi di una ragazza, lei rimane incinta e nasce una figlia. Non possono sposarsi perché il regolamento vieta il matrimonio prima dei 28 anni. È il giorno del primo compleanno della bambina, il carabiniere ha un pomeriggio di libertà ma arriva un’informativa di allarme terrorismo. Tutti i permessi sono revocati. Rimane in caserma senza sapere che proprio quella caserma è l’obiettivo dei terroristi. Muore. Dopo il funerale, la compagna riceve una sua lettera in cui si scusa per non poter essere presente alla festa, per non poter fare il regalo alla bimba, promette di portargliene due la prossima volta. Questa storia gli è stata raccontata da quella figlia, che non ha mai conosciuto suo padre, 50 anni dopo. Ancora i suoi occhi mobili scrutano ciascuno dei presenti. Il suo corpo non ha mai cambiato posizione mentre le mani si sono come impastate.

L’incontro si conclude con una cioccolata calda nella caffetteria. Non ho bisogno di altri sapori che possono coprire quello che già provo e mi immergo nella dolcezza dell’imbrunire tra le vie di Castagneto.

Le serate sono finite. Ho constatato che per fare gli scrittori bisogna avere un altro lavoro (due su tre degli autori presentati) e rifletto su come la scuola abbia il potere di educare anche a distanza. Tutto è nato dai compiti sul giallo-noir di mio nipote: ho capito quanti pregiudizi avessi su questo genere letterario e mi sono stupita che una pagina di noir riuscisse a commuovermi tanto da farmi piangere. Ma, come diceva un grande maestro, “Non è mai troppo tardi”.

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