Il tempo materiale, Giorgio Vasta (Minimum Fax)

Quando si parla di qualità dell’editoria, degli scrittori, delle case editrici, mi viene sempre in mente la definizione che Enrico Fermi dette di Ettore Majorana:

“Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galilei e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di questi”.

La stessa cosa vale in narrativa: ci sono molti scrittori medi, alcuni scrittori di ottimo livello, e poi ci sono i geni, pochi, anzi pochissimi.
Chi mi ha consigliato di leggere Il tempo materiale infatti, mi ha parlato in questi termini di Giorgio Vasta.
E aveva ragione.

giorgio vasta il tempo materiale

Il tempo materiale è il romanzo perfetto, e contiene tutto quello che dovrebbe esserci all’interno di un testo che giunge a pubblicazione.
Andiamo con ordine.
Siamo nel 1978, non un anno qualunque per la storia italiana: le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro e dopo 55 giorni di prigionia lo uccidono. È un evento che sconvolge l’Italia, Palermo compresa.
Ed è qui che tre ragazzini di undici anni prendono consapevolezza di loro stessi e si uniscono a formare una vera e propria cellula terroristica attiva.
In un crescendo di azioni, si troveranno a compiere l’irrimediabile.
Senza svelare troppo (men che mai il finale) a chi non avesse ancora letto il romanzo, bisogna ammettere che la trama è uno dei punti di miglior favore del romanzo.
Ma non l’unico, perché sono altre le cose che fanno di un ottimo romanzo un’opera geniale e il merito, oltre che all’autore, va alla casa editrice.
Di cosa sto parlando?
Ecco l’incipit:

Ho undici anni, sto in mezzo a gatti divorati dalla rinotracheite e dalla rogna. Sono scheletri storti, poca pelle tirata sopra; infetti, a toccarli si può morire. Ogni pomeriggio lo Spago gli porta da mangiare in fondo al giardino di fronte casa. Io a volte la accompagno. Ci vengono incontro lenti, sbandando laterali, ci guardano con gli occhi che sono gocce d’acqua e fango. Tra i morenti mi sono legato al peggiore, quello che sul bitume dei vialetti se ne sta in fondo, immerso nell’abisso; sente i passi e muove la testa piano, come un cieco che segue una canzone. Il pelo nerastro regredito a sbuffo sulla pelle scrostata, una zampa brancolante persa tra le altre; zoppicava già da piccolo, adesso è grande, uno storpio naturale.

Di fronte a una cosa del genere, di solito, abbandono il libro: nelle prime tre parole viene subito passata un’informazione anagrafica, cosa che non si fa neanche a pagina 130 figuriamoci all’inizio dell’incipit! E poi, un undicenne che parla con una proprietà di linguaggio che neanche Umberto Eco, suvvia, non è credibile! Quanti di voi, a undici anni, sapevano che cosa è una rinotracheite?

Eppure.

Non sono arrivato neanche alla fine della prima pagina che mi trovo a girarmi il libro tra le mani.
Penso.
Il romanzo ha vinto un paio di premi importanti ed è stato tradotto in undici paesi; la casa editrice, Minimum Fax, è di primo piano, entrata nel panorama editoriale italiano per la sua genesi, per aver pubblicato i racconti di un certo scrittore americano e per molti altri buoni motivi; vado a spulciare tra i titoli di coda e vedo che l’editor che ha curato il testo è Nicola Lagioia (dopo qualche anno da questa uscita vincerà lo Strega e attualmente è il direttore per le attività culturali ed editoriali del Salone del Libro).
Risultato? Mi dico che se qualcosa non mi quadra, be’, è colpa mia che non la capisco.
Ecco l’importanza di una casa editrice che sa lavorare e che lo dimostra a ogni singola uscita: è proprio la fiducia che il lettore le accorda il valore aggiunto del romanzo.

Così vado avanti, apprezzando la ricchezza del testo, densissimo di immagini, e la capacità di scrivere di Vasta. Certo, rimango un po’ stranito dal linguaggio dei tre ragazzini, ma il quadro che si compone pagina dopo pagina non ammetterebbe niente di meno.
Il ritmo aumenta gradualmente, senza scossoni, sino alla fine, in un continuo accelerando, ma è nell’ultimo terzo (sono circa cento pagine che vanno lette tutte d’un fiato, organizzatevi con i tempi) che diventa realmente inclusivo, nel senso che chi legge perde completamente il contatto con la realtà e si ritrova a essere parte del romanzo: Vasta riesce a far crescere sentimenti di comprensione e di rancore nei confronti dei personaggi, talmente forti che mi sono ritrovato a desiderare di essere lì, per cambiare il corso della storia.
Per chi volesse leggerlo ho un unico avvertimento: ti trovi di fronte a un romanzo non crudo, non violento: crudele.
Ho perfino temuto di non riuscire a finirlo.
Ora però, so che rimarrà con me per tanto tempo, come una delle letture più belle che abbia mai fatto.

Il tempo materiale, Giorgio Vasta

2 Comments

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