Sicurezza e lavoro: perché non ci stanchiamo di parlarne (anche attraverso i libri)

Era un marzo di molti anni fa quando, poco dopo le otto di mattina, le sirene coprirono i rumori del centro cittadino e le voci di tutti.
“Vanno verso la Magona” fu l’affermazione che serpeggiò su ogni bocca.
Quando abiti a ridosso dell’acciaieria ogni sirena che va in quella direzione è un colpo al cuore. La prima preoccupazione è che vada tutto a fuoco e ci si debba chiudere in casa, o scappare. Allora chiedi: “Pompieri o ambulanza?”. Se ti dicono solo “Ambulanza” ti rilassi e sospiri. Ci sarà stato un infortunio, ma almeno per ora non saltiamo tutti in aria. Il sollievo dura giusto quell’istante, perché poi inizi a pensare a quel cristiano che si è fatto male: quanto si sarà fatto male? Sarà qualcuno che conosci?
All’epoca lo stabilimento aveva già avuto una prima battuta d’arresto, ma ci lavorava ancora tanta gente, e in un paesone come Piombino i gradi di separazione sono sempre stati meno di sei: molti dei miei compagni di classe finirono immediatamente col sedere sui carboni ardenti. Arrivò la bidella a dirci che c’era scappato il morto, un ragazzo giovane.

Ricordo che in quei giorni si parlò molto, sui giornali, dell’abisso di mancanza di tutele che venne portato sotto gli occhi di tutti da quell’infortunio mortale. Ricordo che se ne discusse in classe, con i professori, tra alunni. Una compagna affermò una cosa tipo: “Il mio babbo è caporeparto, hanno detto che la responsabilità della sicurezza è sua, ma se lui dice agli operai di mettersi il caschetto e loro non se lo mettono, e poi si infortunano, perché nei guai deve andarci lui?”
Il furore che mi scatenò quella voglia matta di scarico di responsabilità lo ricordo (e lo ritrovo) ancora oggi. La perdonai perché eravamo giovani e con pochi strumenti concreti su questo argomento, ma oggi è la conferma di quanto bisogno ci fosse, allora, di parlarne, di responsabilità e sicurezza.

Era il 17 marzo 1998. Quel ragazzo si chiamava Ruggero. Non lo conoscevo. Ma i gradi di separazione tra me e lui erano pochissimi, l’ho scoperto neanche dieci anni dopo, con un abbraccio che non si è più sciolto.

Ma procediamo con ordine: i genitori di Ruggero sono Roberto e Valeria. Valeria è una giornalista. Era sola in redazione quando è arrivata la notizia. Quando ci penso mi sembra un miracolo che non sia andata fuori di testa all’istante. Si è chiesta “Perché è capitato proprio a me?” e la risposta di un amico fidato è stata “Non ti doveva succedere, non doveva succedere a nessuno. Ma dato che è successa proprio a te che fai questo mestiere, usa tutti i mezzi che hai per fare informazione su questo argomento. Se riuscirai a salvarne anche solo uno, Ruggero non se ne sarà andato invano”.

Ed ecco: il 23 dicembre 1998 nasce legalmente l’Associazione Nazionale Ruggero Toffolutti per la sicurezza dei luoghi di lavoro. Un modo non violento, apartitico, laico e allergico alla retorica per portare avanti una politica di sicurezza, di giustizia, di parità per tutti i lavoratori. Quello che è successo in questi anni non riuscirei a riassumerlo neanche in due vite, ma l’associazione ha varcato i confini della Val di Cornia, si è spinta a incontrare, negoziare, chiedere e interrogare in tutta Italia. Molta schiettezza, pochissimi paroloni.

Quando le nostre strade si sono incrociate avevo all’incirca 25 anni e avevo appena finito di leggere Bianciardi. L’associazione chiese al gruppo teatrale di cui facevo parte di organizzare insieme una serata di letture a tema: mi ci buttai anima e corpo, raccolsi e selezionai materiale insieme ai miei compagni d’avventura, ancora più giovani di quanto lo fossi io allora, con una passione e un entusiasmo che deve essere arrivato forte e chiaro, perché dopo quel primo incontro Valeria e io non ci siamo più perse.

 

Oggi sono qui a darle voce e volto alle parole che ha scritto, anni dopo quel 17 marzo, per riassumere questa vicenda e l’impegno dell’associazione.
Il video, a cura di Stefano Fontana, si intitola “Andò così” e verrà proiettato in anteprima domenica 8 dicembre alle ore 16.00 in via XX Settembre n. 62, a Piombino, dove fino al 15 dicembre saranno esposte le opere fotografiche del premio Luca Rossi “Il lavoro in un calendario”. In quell’occasione, contribuirò con la mia passione per la parola scritta e la lettura scenica interpretanto una serie di testi di Gianni Rodari, Alda Merini, Luciano Bianciardi e Tiziano Terzani, oltre che una selezione di poesie di giovani autori che hanno partecipato al premio dedicato a Giorgio Leoncini.

Se la possibilità di fare, nel quotidiano, cose importanti per il mondo ti sembra remota, ecco, allora io ti consiglio di conoscere Valeria, questa gigantessa di etica e senso di responsabilità, che ce la mette tutta, per tutti.

Ci vediamo domenica, a due passi dal Castello.

 

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